AGOSTO 2016 – Dopo un lungo volo aereo siamo arrivati nella capitale del Ladakh (Leh) per affrontare un trekking nella meravigliosa Nubra Valley. Siamo sei membri: Riccardo, Betty, Claudia, Luciano, Fabio ed io.
Scendiamo dall’aereo e, con il pulmino dell’agenzia, raggiungiamo l’albergo. Siamo già a quota mt 3450 di altitudine: gli effetti si fanno subito sentire mentre affrontiamo le scale. Fiato corto, testa pesante e la concentrazione è difficile: quindi, faremo un po’ di acclimatazione.
Usciamo per una breve passeggiata per le vie di Lhe: è la terza volta che visito la città nel corso di vari anni e poco è cambiato. Il caos è quello tipico dei paesi asiatici: macchine che suonano il clacson per farsi largo nel groviglio del traffico, persone che si muovono indaffarate, ma il tutto produce una sensazione affascinante…. È un crogiolo di colori, odori, suoni… e tu ne sei travolto come in un sogno…
Lhe è una città antica con i suoi templi buddisti, le stradine strette e piene di bancarelle, le case di tipo tibetano ed i cortili con i loro albicocchi dove si svolgono le quotidiane mansioni familiari. Come in tutte le città himalaiane, è forte il desiderio di modernità, ma il risultato non sempre risulta gradevole: a causa della povertà e della mancanza di risorse, la bellezza del Piccolo Tibet ne risulta spesso deturpata ed impoverita.
Il giorno successivo facciamo visita ad un imponente bianco stupa (Shanti Stupa), situato in una splendida posizione dalla quale è possibile ammirare tutta la valle di Leh ed i monti circostanti. Spicca la fortezza che domina la città somigliante a un piccolo Potala.
La mattina dopo partiamo in macchina per raggiungere il punto di partenza del nostro trekking nella Nubra Valley: percorriamo una strada famosa per essere la più alta del mondo e giungiamo quindi al passo Khardngla (mt 5602) che conduce verso la Nubra Valley. Foto di rito al cartello, poi ci avviamo a piedi verso una piccola cima, dove ci sono centinaia di bandierine di preghiera ed una splendida vista.
Ripartiamo quindi verso Sumur. I tornanti sono tanti, difficile il passaggio di due auto: l’ambiente è vasto e sormontato da montagne di terra colorate dai vari minerali di cui sono composte. Nel fondo della valle scorre il fiume Nubra, marrone e veloce, contornato da pioppi e salici; più in alto, scorgiamo rari villaggi antichi, oasi di verde e di umanità in un infinito spazio arido di rocce e sassi. Si capisce che l’uomo deve aver sopportato una fatica immensa per ritagliarsi una piccola fetta di vita in questo luogo affascinante sì, ma estremamente ostile.
Arriviamo a Samur, piccolo villaggio di pastori-contadini vicino alle rive del Nubra e prendiamo possesso delle nostre camere: dopo sei ore di viaggio ci concediamo un breve riposino. Poi, partenza per il monastero buddista del villaggio, che si presenta coloratissimo ai nostri occhi: anche se non nuovo, si fa risalire a circa 180 anni fa. Visitiamo le sale interne di preghiera affrescate con meravigliosi simboli e storie buddiste, ma per noi ahimè sconosciute. Qui dimorano varie statue dorate del Buddha con il tipico sorriso e le sue posizioni rituali, tamburi, cimbali e trombe pronte per mettersi in bella mostra nelle cerimonie chiassose e, solo in apparenza, prive di armonia. Vari monaci gironzolano negli immensi spazi aperti dai quali si gode una splendida vista sulla valle e sui monti; mi chiedo come sia la loro vita in questi luoghi così selvaggi e remote. Mi avvicino alle loro case: un monaco sta riempiendo un secchio d’acqua con fare calmo e misurato. La sua tonaca color vinaccia ed il capo rasato gli conferiscono un’aura di ieratica santità, così che ogni suo gesto – foss’anche il più banale – sembra importante e, soprattutto, irripetibile. Posso immaginare anche la sua stanza, fatta di poche cose: un letto, una sedia, uno scrittoio, una cassa per i vestiti e qualche immagine sacra. Poche cose, proprio per non appesantire la vita… La visione scarsa ha i dubbi della volpe: più si affretta, più avanza lentamente.
Partiamo da Sumur la mattina presto verso il monastero Diskit arroccato su una roccia a 3158 mt. Il monastero ci appare come una fortezza, con vari volumi uno sopra l’altro: ma la caratteristica più sorprendente è un’enorme statua del Buddha del futuro Maitrea che domina tutta la valle.
Arriviamo a Hundar (mt 3170), punto di partenza del nostro trekking. Qui incontriamo i tre nepalesi che ci accompagneranno nel nostro viaggio. Cominciamo percorrendo il torrente impetuoso Hundar dentro la sua gola. Man mano che ci addentriamo, il paesaggio si fa sempre più impressionante: le pareti che ci sovrastano sono molto alte e composte di conglomerato depositato nel corso di migliaia di anni.
Su una parete rocciosa intravedo delle grotte, rifugio di eremiti, con un piccolo stupa e bandierine di preghiera. Cerco di immedesimarmi in quella situazione: come starei io con il nulla intorno, nella più completa solitudine? Quanti pensieri, quante immagini, quante sensazioni… forse anche un graduale e gradevole abbandono della dimensione alla quale siamo abituati per entrare in un mondo sconosciuto, privo di tempo, di materia, d’identità… tutte le certezze trasformate in vapore e si diventa il tutto: quello che ci circonda – sole, acqua, aria, terra – in un delirio infinito. Questo luogo è perfetto per un viaggio nel profondo dell’animo umano.
Ci accampiamo per la notte vicino ad un torrente di acque chiare… Sogni, illusioni e vuote fantasticherie: perché affaticarsi ad afferrarli? Si riparte la mattina presto: dobbiamo addentrarci ancora di più nella valle. Lungo il cammino incontriamo due villaggi isolati. Le abitazioni sono tipiche: un piano e tetti piatti, verniciati a calce. I campi sono coltivati ad orzo e qua e là si intravedono animali al pascolo.
La giornata è splendida: il paesaggio offre allo spettatore una bellezza armonica fra uomo e natura. Alcune donne, con il loro abbigliamento tradizionale, stanno tostando semi di orzo forse per produrre un liquore locale: i pochi abitanti sembrano felici anche senza strade, centri commerciali e televisori… incredibile! Giungiamo ad un delicato prato verde prossimo al torrente dove monteremo le tende per la notte: di fronte a noi, un altro villaggio. Lì vicino incontriamo una debole traccia di modernità: una piccola centrale fotovoltaica. Vedo muoversi una contadina che si avvicina alle sue mucche al pascolo: si siede in mezzo a loro e ci parla. Poi, con calma, le conduce al villaggio nella loro stalla.
Arriviamo al campo a quota 4600 mt: qui faremo un giorno di acclimatazione. Il luogo è incantevole: un anfiteatro con vista su montagne e ghiacciai dove un torrente scorre dolcemente. La mattina seguente risaliamo verso i 4800 mt. Purtroppo, il tempo non ci è amico: pioggerella e vento freddo! Così, tutti incappucciati, arriviamo ad un laghetto: la vegetazione è composta in prevalenza da assenzio che ci inonda con il suo delicato profumo, genziane che formano macchie di colore intenso e sassifraghe forti e resistenti che si sono adattate a questo clima estremo. Scorgiamo anche molte tane di marmotta. Quando rientriamo, il cibo è pronto: lo assaporiamo con gusto e poi in tenda, dentro il sacco a pelo al calduccio.
Il viaggio continua… Si susseguono i campi e le emozioni, le marmotte curiose che ci guardano, le arvicole delle nevi che scappano veloci al nostro passaggio. Risaliamo torrenti cristallini alimentati da antichi ghiacciai. Giungiamo quindi al penultimo campo (quota 5000 mt). Il freddo è intenso: siamo emozionati perché domani raggiungeremo il passo Lasermola (5400 mt).
Mattina, ore 4.30: colazione e via. La salita è impegnativa, ma continuiamo: manca il respiro e l’affanno è sempre con noi. Finite le rocce, affrontiamo un vasto nevaio-ghiacciaio: è accecante e ripido.Ognuno sale con i suoi pensieri: la testa pulsa, il fiato è corto e le gambe vorrebbero fermarsi, ma si va avanti… Dobbiamo raggiungere la meta prefissata: non serve a nessuno, è una cosa inutile, ma ci fa sentire VIVI, presenti in questo paesaggio di una bellezza selvaggia e primordiale.
Finalmente arriviamo al passo: ci abbracciamo, sorridiamo, siamo felici, improvvisiamo un ballo con le nostre guide nepalesi, stendiamo le bandierine di preghiera. Un ultimo sguardo al vasto panorama Himalayano. Sorpresa! Scorgo vicino a me le impronte del magnifico e leggendario leopardo delle nevi. È venuto il momento di scendere verso il prossimo campo.
Grazie ai nostri accompagnatori, alle guide, ai cuochi, ai cavallai: siamo riusciti nella nostra piccola, grande impresa! Un elogio particolare va agli uomini che ci hanno accompagnato, gente forte e generosa, ma umile: lavorano nell’ombra e ci fanno credere che l’impresa sia nostra… ma i veri protagonisti sono loro. Che il vostro Dio protegga voi e le vostre famiglie. Un grazie affettuoso anche a Giada ed a tutto il supporto che ci ha dato con la sua ormai collaudata esperienza ed efficienza.